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Lo stupore è l’esercizio quotidiano che ci rende vivi

Questo racconto è un autoritratto, un racconto sull’ispirazione che stimola immaginari e anche sul come sto diventando me stessa

Esercizi di stupore

L’ispirazione non è dove prendi le cose, ma dove le porti, diceva più o meno Jean-Luc Godard. Quello che ci ispira è qualcosa che ci provoca emozioni, che ci fa sentire motivati, che ci stupisce, che ci migliora. Questa ispirazione la prendiamo e la riversiamo nelle nostre cose, nei progetti personali, nel nostro lavoro. Osserviamo per assecondare il bisogno continuo di ispirazione. I nostri immaginari sono promemoria di bellezza, punti di domanda sulle nostre emozioni ed anche specchio su noi stessi.

C’è stato un momento della mia vita in cui per capire se fossi viva o morta dovevo auscultare il battito cardiaco con uno stetoscopio. Uno di quei momenti che vivono tutti nella vita ma in modi molto personali. Quello è stato il momento in cui il mio legame con la fotografia ha sperimentato una direzione diversa: ho iniziato a utilizzare l’autoscatto come azione terapeutica di salvataggio, come atto d’amore verso me stessa. Un periodo buio di ricordi e parole, come una storia di fantasmi visibile tra le trasparenze dei vetri appannati di incertezze e nello sguardo attraverso la macchina fotografica.

Non ho mai abbandonato l’atto del fotografare me stessa

Quando fotografo lo faccio con tutto il corpo, tenendo accesi i sensi all’immaginazione. L’immaginazione è un forma di movimento, mi aiuta a essere connessa a tutto ciò che ancora può farmi meraviglia.

Becoming yourself

Un concetto che si è ripresentato diverse volte nella mia vita e che, ogni volta, mi torna prezioso è essere una roccia e non rotolare via.

La prima volta ho letto questa frase nel testo dei Led Zeppelin, to be a rock and not to roll. Quante cose vissute, quante case cambiate e nuove città. L’ho incontrato nuovamente nelle lezioni di yoga e nelle esercitazioni a teatro, in una posizione da assumere e tenere: in piedi mettendo forza nelle gambe, necessaria affinché nessuno spingendomi riuscisse a farmi cadere. Essere roccia, non rotolare via.

Una forma mentis che ho avuto cura di mettere in pratica. Sì, sono caduta. Sì, mi sono rialzata, sì ho pensato di mollare per un po’ e sì ho lottato. Sì, sto ancora lavorando sul diventare me stessa, con più sincerità, sempre alla ricerca dello stupore nelle piccole cose che mi fanno sentire viva. La vita è questo attimo, quando dici a te stesso/a: ecco proprio così, proprio così. Ovunque sei, ovunque siamo.

Il ruolo di mio padre nel mio scegliere di fare la fotografa di professione è stato fondamentale. A lui devo la passione ma soprattutto il modo di guardare alla fotografia come un atto d’amore. Quando ero piccola, papà mi portava in giro in auto a guardare i tramonti e sognare, insegnandomi a racchiudere i ricordi in uno sguardo e in uno scatto. E anche se so che è da questa passione e con questo modo di osservare che ho iniziato a tenere in mano la mia/sua prima macchina fotografica, oggi guardo con i miei occhi, mi reggo sulle mie gambe, sto diventando me stessa con il mio bagaglio di esperienze passate e con la determinazione di diventare la versione ancora più sincera di me.

Grazie alla fotografia, grazie all’espressione artistica, grazie agli autoritratti mi concedo di osservarmi con naturalezza, senza giudicarmi, mi guardo e mi accolgo, presente a me stessa anche nei momenti in cui sento di sbiadire. Mi fermo. Accolgo alla specchio l’immagine di me stessa e me stessa, fino riconoscermi di nuovo.

E allora, continuiamo ad alimentare il nostro stupore. Continuiamo ad allenare i muscoli facciali sorridendo fino al cuore, a concederci una piccola ispirazione al giorno per curare i nostri immaginari. Senza paura di osservarci e poi di lasciarci guardare, senza paura delle pause se servono a diventare reali.