Come il parcheggio sotto casa
[Diario visuale, flusso]
Prima guidavo verso casa, la radio suonava i Deep Purple e ho provato cosa significa soffrire di delirio di onnipotenza. Ho fatto due giri a vuoto tanto per non tornare subito, tanto per perder tempo. Che poi non è perder tempo quando penso, o forse sì. Mi sono chiesta per esempio se parlare in inglese in una piccola provincia è utile per non essere ascoltati o è soltanto un’esercitazione. E se quando ci lamentiamo di non avere nulla è solo il troppo che c’è a non farci vedere le cose di cui abbiamo bisogno davvero. Ma soprattutto mi sono chiesta se avrei trovato parcheggio sotto casa. Ed è brutto quando una canzone finisce, sembra un addio. E il delirio di onnipotenza svanisce, io mi sento piccola e il sole non scalda più.
E ti volevo così tanto che adesso non ti voglio più.

Diario visuale, on the road
Cara amica, siamo così nudi e così crudi su questi letti spogli e pieni di cuscini che non sappiamo capacitarci del tempo che ci passa addosso mentre i nostri ricordi non passano mai. E tu eri proprio qui, a contare i chilometri delle mie corse invitandomi alla lentezza e a poco poco sei andata via tu, sorridendo, ma la tua pelle era già gialla ma di un giallo smorto, non come l’ambra. Cara amica mia, oggi è un’altra giornata piena di cose da fare, il mare è sempre lì e anche la terrazza, solo noi siamo troppo lontane e non ci siamo più.
Scrivi, cancella, scrivi, salva. Salvami. Cancellami, no. Scrivimi. Scrivimi ancora che mi fai stare bene come la legna che brucia piano nel camino e che ancora più piano riscalda ma solo se vicino, più vicino, sei lontano, più vicino, non bruciare, non fai male. Farai male? Riscaldami.

Diario visuale, dettaglio
e stringere ancora
te
che da lontano
tieni
e provi ancora
a tener per mano
ma è più difficile se non ci guardiamo
però tu fidati
e non lasciare
la mano andare
che con il pensarti
provo a tenerti tra le mani
che nella mia testa
io sono ancora tra le tue mani.
Non è che scelgo la via o il modo più semplice per scrivere, me ne rendo conto, ma è la necessità che spinge a muovermi in righe, (spingermi a te, muovermi a te). E so che tutte quelle che nascondo tu le sai trovare e sai leggermi. E questo mi piace. Non mi piace finire le sigarette e rimanere senza per un intero pomeriggio quando poi fuori c’è quel maledetto tramonto troppo bello per essere vero che allora lo posto sul web, così finisce e non ci penso più.

Diario visuale, ritratto
Amica mia, è ancora bello cantare quando nessuno può ascoltarti.
Ho ritrovato la chitarra in legno che ho conservato dopo aver strappato tutte le lettere che ti ho letto al telefono ma che non ho mai inviato. Ma va bene così, ho sempre parlato tanto e tu ascoltato per troppo tempo, e adesso mi dicono che parlo poco e se parlo non dico nulla. Ma tu mi trovi sempre tra le righe, vero? Adesso per esempio, ma è solo una coincidenza, sto ascoltando quella canzone che cantavo quando pensavo che stavo per morire e immaginavo i miei passi nella neve, quel rumore sotto le scarpe tra l’affogare e il salvarsi. Affogare e salvarsi. Che poi io vivo al sud, e al sud la neve non c’è.
Non c’è.
Come il parcheggio sotto casa.